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Harverster le curiosità d’un gioco ultraviolence

Harverster le curiosità d’un gioco ultraviolence

By daniele

La storia dei videogames non è esattamente una passeggiata. Dal nulla sono nate tante meravigliose categorie, sono nate le sale giochi (e non parliamo di poker e slot machine, i veri arcade d’una volta) e in breve tempo, quella sottile linea che decideva i limiti di cosa si poteva vedere su uno schermo è stata man mano spostata sempre più lontano. Iniziando con Death Race (nel lontano 1976)  e andando sempre più a sfidare i limiti con Mortal Kombat. Non c’era nessun dubbio: se un gioco era violento, era in grado di attirare molto l’attenzione.

E’ il 1996. La DigiFX Interactive (Ex FutureVision) aveva intravisto questo come un ottimo punto di vista per la società moderna. I giochi violenti o con contenuti sessualizzati erano discussi, ma spesso ricercati. A volte era per un concetto del Taboo, del vietato, ma con il tempo anche i giochi di pessima reputazione hanno scoperto che non era un biglietto garantito per dei guadagni sicuri.

Il punto è che bisognava esagerare, ma non nel senso che tutti pensavano. Per questo si pensò di creare Harvester, un gioco che anche oggi è ritenuto molto violento, anche se non al pari merito con quello che riguarda la qualità del Gameplay.

Il gioco inizia con il protagonista Steve Mason, il quale si risveglia in una cittadina che sembra ferma agli anni 50. Questo non ha alcuna memoria del suo passato, così come ogni singola esperienza della sua vita nella città di Harvest. La cittadina sembra avere tradizioni strane, così come ogni singolo abitante sembra ragionare in maniera più che singolare. Di lì in poi si scopre che il gioco, creato principalmente in FMV (Full Motion Video, in poche parole i personaggi sono tutte persone reali) ha scene molto spinte, con grottesche morti sanguinolente. Il gioco sembra inoltre coinvolgere il giocatore in trame sempre più adulte, includendo scene di sesso oppure semplicemente sconcertanti.

L’obiettivo della DigiFX sembrava essere chiaro: gioco violento, attenzione facile. Ma in verità c’era qualcosa di più nei loro piani. Harvester aveva in sé una sorpresa alla fine della trama: Steve scopre che sta vivendo in una simulazione virtuale, il quale è creata ad hoc per renderlo un serial killer. In tutto questo è sottolineato che ciò che ha vissuto è stato come un videogioco: è stato facile uccidere, rubare, creare scandalo e rendere la vita di chiunque assolutamente miserabile. Questo perché, alla fine dei conti, la simulazione virtuale era “un videogioco” e ha con i suoi metodi reso il protagonista un pazzo omicida.

Ovviamente, il modo in cui è stato consegnato questo significato è stato particolarmente assente nella sua chiarezza. Durante il gioco vi sono rappresentazioni che rimuovono il significato di carità, di come le istituzioni sono inutili, di come i vecchi non vanno rispettati, di come bisogna accettare invece di lasciarsi andare in lussuria, avidità e violenza. Faccenda curiosa: l’attore che interpretò Steve (Kurt Kistler) fu attualmente arrestato nel 2010. Nella foto che lo ritrae, indossa ancora dei vestiti molto simili a quelle che portava nel videogioco. A volte la realtà supera la fantasia!

Se fatto oggi, un concetto di questo genere forse poteva essere visto come avveniristico, forse allarmista o anche reale. Per il tempo in cui è stato prodotto però, è stato semplicemente visto come un gioco violento e controverso. Una reazione che, insomma, la DigiFX si aspettava anche: tutto quello che doveva fare il giocatore “amante della violenza” era di finire il gioco, e vederne così la lezione che lo attendeva. Ma vista la dubbia qualità del gioco, vista oggi fra una risata ed il disgusto, si può dire che ben poche persone all’epoca scelsero di andare fino in fondo alla storia di Harvester.